Quando ero pulzella, ero convinta che il sapere fosse tutto.
Del resto, ce lo martellano dalla prima elementare che più sai, meglio sei. Più studi, meglio ti andrà nella vita e se non ti andrà superbene, almeno sarai una persona migliore di chi non studia.
Il mio divorzio con la cultura è iniziato alle superiori: ho cominciato a studiare letteratura e filosofia e a scoprire che non c’erano idee giuste e sbagliate, solo consenso relativamente a certe idee all’interno della comunità della disciplina in questione. E questo consenso cambia con il tempo, le correnti, l’andazzo generale.
Alcuni critici ritenevano un certo autore importante, altri no. Alcuni libri citavano alcune cose, altri le tralasciavano. Il professore tagliava e aggiungeva a suo gusto i contenuti.
Per questo, quando in terza liceo scientifico oltre a filosofia e a letteratura italiana è comparsa fisica, mi sono illuminata d’immenso. Finalmente una scienza certa. O bianco o nero. O giusto o sbagliato. Sì, con qualche interrogativo, ma il grosso (fisica classica) era già lì, grazie ai greci e a tutti i vari scienziati che si sono susseguiti nei secoli.
Confesso una cosa: in matematica ero una sega. In prima liceo mi era toccata un’insegnante con cui proprio non c’era feeling e la cui prerogativa era fare la lezione, timbrare e tornarsene a casa. Non posso farle nessuna critica oggettiva: era preparata, aveva una calligrafia impeccabile, un tono di voce pacato, sapeva tutti i passaggi delle dimostrazioni geometriche a memoria… ma non c’era gusto né passione. Era come un video scialbo di YouTube, dove magari trovi la risposta alla tua domanda, ma è un calvario arrivare fino alla fine.
E così in terza liceo, cambiata l’insegnante di matematica e introdotta la fisica, fu amore. La nuova insegnante potete immaginarvela come Margherita Hack. Un donnone forte, indipendente – pur avendo una famiglia – intelligente, appassionata per le sue materie e soprattutto desiderosa di spiegarcele e farcele apprezzare.

Con l’insegnante del triennio, più che studiare fisica siamo finiti in una puntata di Quark: non si limitava a darci le risposte, ma ci insegnava a porci le domande. Noi, come tutti gli scienziati che ci avevano preceduti, ci trovavamo quasi naturalmente a domandarci perché due corpi dallo stesso volume possono cadere a terra con velocità diverse, perché i piccioni non si fulminino quando si appollaiano sui cavi elettrici o cosa succede se sposto due circuiti elettrici identici diversi su due carrelli che si muovono parallelamente e alla stessa velocità: ci sarà induzione o no?
Questo spiega perché, ancora oggi, nella mia classifica di uomini con cui trascorrere una serata memorabile figurano al primo posto i fisici teorici e al secondo i pompieri del FDNY.
Non solo non ho mai conosciuto un fisico teorico (beh, uno, a 12 ore dalla sua partenza definitiva dall’Argentina) ma neanche un pompiere del FDNY.
Ma tornando alla mia parabola scientifica…
Nessuno mi aveva preparato allo spoiler che ci attendeva in quinta liceo. La nostra amata insegnante si era gravemente ammalata (venne a mancare poco dopo gli esami di maturità, a cui non poté presenziare perché ormai troppo debilitata) e quindi il nostro terzo e ultimo anno di fisica classica si concluse rocambolescamente e in modo raffazzonato.
Lo spoiler della fisica di quinta liceo è che arrivati all’elettromagnetismo va tutto in mona: non c’è più il modello perfetto della fisica classica, si passa alla fisica moderna. Le equazioni di Maxwell si sono parate davanti ai nostri occhi e lì ci siamo dovuti arrendere, anche perché gli strumenti matematici che avevamo allora non ci consentivano di andare oltre.
Peggio ancora, nell’ultima lezione di fisica, quella in cui la nostra bravissima insegnante calò il sipario di un viaggio durato tre anni, venne annunciato che tutto quello che avevamo appreso nella fisica classica, non era più accurato per la fisica delle particelle (dell’infinitamente piccolo) né per l’infinitamente grande (dell’universo).
Vennero gli esami di maturità. E fu giorno e fu notte. E mi iscrissi all’università.
Dicevamo che la fisica è la scienza delle domande, che sono forse più importanti delle risposte, giacché se non ti poni prima le domande giuste, non arriverai mai alle risposte.
Questa cosa delle domande mi è un po’ sfuggita di mano all’università, dove scelsi una facoltà scientifica ma di scienze applicate. E qui credo stia l’origine della mia frattura con la cultura.
Sì, c’erano delle teorie, delle formule, dei risultati che grossolanamente ci andavano vicino. Ma già quando le costanti hanno cominciato ad essere numeri irrazionali ed empirici ho cominciato a sfiduciarmi. Quando poi per arrivare al risultato bisognava ricorrere alle iterazioni (ossia andare a tentativi cambiando il valore di alcuni parametri fino a ottenere un risultato plausibile) ho sbarellato. Volevo uscire da quella follia il prima possibile.
Durante la mia parentesi lavorativa italiana non è andata meglio: le domande tecniche hanno cominciato a sommarsi a quelle pratiche (perché questa macchina non funziona? quando manderanno il tecnico? quando facciamo la riunione con il fornitore? possibile che non ci sia un modo per digitalizzare l’archivio?) ho preso come una grande sconfitta la creazione della cartella “On hold” (in sospeso) nella mia posta elettronica. Lì finivano tutte le email relative a vicende non pressanti, ma comunque in sospeso, da cui non si riusciva a uscirne per un motivo o per l’altro (non ci sono soldi, tempo, voglia, ci sono cose più importanti, prima devono aggiornare i sistemi)…
Dopo sei anni quella cartella era enorme. Forse tra le più numerose della mia posta elettronica. Quando l’aprivo mi saliva l’ansia, mentre scorrevo con lo sguardo le righe pensavo che non se ne poteva uscire. Infatti sono uscita io (dall’azienda, per sempre) ma ora neanche ricordo cosa c’era dentro. Son soddisfazioni.

Fast forward al 2019… sono finita a lavorare in campo umanistico. Come è possibile questa debacle? Me lo chiedo anche io… Io volevo solo scrivere di scienza.
In campo umanistico non c’è il giusto, ognuno ha diritto alla sua opinione e per l’impulso di eccesso di democrazia attuale, l’opinione degli “esperti” vale quanto quella degli uomini comuni perché l’interrogativo parte dalla Genesi: chi lo dice che quelli sono “gli esperti”? Chi lo dice che non manipolino il sapere a piacimento? Chi lo dice che non agiscano dietro la grande mano delle corporation o solo per vanità (essere chiamati in TV come “esperti”)?
Capite il mio disagio…
Prendiamo la grammatica: la lingua cambia con il tempo, ne cambiano gli usi, i vocaboli, le strutture, i supporti su cui si usa… In Italia stanno a dibattere se qual è vada scritto con o senza apostrofo, se si possa usare il dove indiscriminatamente al posto di “cui” non solo per i luoghi figurati (la materia dove ho più difficoltà è latino), se mezzora vada scritto tutto attaccato o apostrofato mezz’ora come il correttore dell’iPhone corregge pedissequamente, se la grafia “più corretta” sia se stesso o sé stesso….
Passiamo alle lingue: la Oxford comma è sopravvalutata? Serve davvero? Per chi è a secco d’inglese, si tratta della virgola prima dell’ultimo termine di un elenco introdotto dalla congiunzione “e”.
I have an apple, an orange, and a banana – la disquisizione riguarda la virgola dopo “orange”.
All’educazione: i bambini con esigenze speciali devono frequentare la scuola pubblica o istituti apposta? Dove sta la soglia tra un bambino con un deficit minore che permette di frequentare la scuola pubblica e il bambino che è meglio frequenti scuole speciali?
All’economia e alle sue teorie che funzionano solo sulla carta.
E così via su un’infinità di temi che abbracciano l’economia, la medicina, la politica, la sociologia. Tutto un dibattito disordinato.
E qui ritorna la fisica: l’entropia dell’universo non può che aumentare. Delusione su tutti i fronti. Ho seriamente pensato di darmi alla religione per trovare un mondo chiuso, finto, perfetto, dove le domande sono scritte a priori e le risposte vanno imparate a memoria.
Voglio scendere!
Isa, articolo che tocca numerosissimi temi. Complimenti. Capisco il tuo bisogno di avere certezze. Pensa a me e’ successo il contrario. Ho studiato per anni in un ITIS, e poi ingegneria in una universita’ monotematica. Se ci ripenso una vera aberrazione. Ma alla fine scelsi in entrambi i casi in prima persona i percorsi di studi. Quindi non posso incolpare nessun altro. Cmq per riequilibrare tutte queste materie “certe” mi sono appassionato alla filosofia, alla letteratura e al cinema. Poi iniziando a lavorare come ingegnere, senza scomodare la fisica moderna, ho scoperto come le scienze esatte, da un punto di vista pratico, non sono poi cosi lontane dalla tanto bistrattata alchimia. Da chimico ed ingegnere, vedo che l’ego, le convizioni, le combriccole e tanto altro ancora, sopravanzano alla grande su leggi fisiche e regole chimiche. L’entropia… questa unita’ fisica tanto astratta e pure tanto tangibile nel caos quotidiano delle relazioni umane, di lavoro, delle scelte e cosi via. Sul discorso: bisogna studiare. Col tempo mi accorgo che sia una bella bugia che ci e’ stata detta per anni, per tenerci buoni. Studiare per cosa, e con chi? E chi decide i programmi da studiare? E chi di deve insegnare? Responsabilita’ immani, che cambiano le vite, demandate a chi?! Allo Stato?! Al professore scazzato? A qualche preside? Circondati per anni da compagni di classe con cui molte volte non abbiamo nulla a che spartire? A che pro? POi scopri che alla fine tutto quello che hai studiato a scuola non serve ad una beneamata, e che nel mondo moderno contano le soft skills: conoscere le lingue, essere paraculo, avere intelligenza emozionale, saper parlar bene (non dire niente, ma dirlo bene) etc etc
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Non posso incolpare nessuno del mio percorso studi. Alle superiori io avrei voluto fare l’istituto gastronomico perché mi piace(va) mangiare, ma genitori e insegnanti hanno corretto il tiro e mi hanno detto: o scientifico o classico. Classico aveva greco, per cui… scientifico. All’inizio pensavo di studiare l’indirizzo sperimentale con due lingue straniere, ma per ragioni di distanza (abitavo in un paesino) era complicato assistere alle lezioni anche al pomeriggio. All’università ero crucciata tra filosofia e qualcosa di più serio (tra i finalisti: fisica, matematica, ingegneria), che sarà pur vero che i primi fisici erano filosofi, ma non avrei fatto epistemiologia tutto il tempo… Diciamo che ha prevalso il buonsenso e la pressione sociale. Nel mondo delle scienze io speravo di trovare un circolo quasi religioso lontano dalle pecche umane, invece è come tu dici. Poi non mi sono trovata bene all’università: era molto teorica, difficile, con un carico di ore impegnativo e compagni con cui non mi identificavo molto. Forse bisogna coltivare le arti e i piaceri, senza dover necessariamente confrontarsi con gli altri su questi temi o ricercare il consenso.
La tua descrizione delle soft skills necessarie nel mondo moderno è azzeccatissima.
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(mio figlio sta per iscriversi a fisica)
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Orgoglio di papà!! Ha già deciso dove? Sai che ci sono alcune università che per incentivare l’iscrizione a fisica esonerano dalle tasse scolastiche il primo anno? Ai miei tempi (dieci e rotti anni fa) era così.
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Torino
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