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Su La Nación ci sono spesso articoli che parlano di storie di vita: gente che emigra, stranieri che decidono di stabilirsi in Argentina, colpi di fulmine che hanno cambiato destini, cose così.

L’articolo di oggi si sposa alla perfezione con l’argomento su cui stavo pensando di scrivere. Si intitola Sin rodeos. 3 semanas antes canceló su boda: “Algún día me lo vas a agradecer” (Senza troppo giri. Ha annullato il matrimonio quando mancavano 3 settimane. “Un giorno mi ringrazierai”).

Per chi non sa lo spagnolo o non ha tempo, racconta la storia Analía: gli studi, la carriera e un fidanzato di una classe sociale inferiore con cui sono cresciuti insieme e “naturalmente” dovevano sposarsi. Era già tutto deciso, al punto che avevano persino comprato casa un anno prima del matrimonio, con tanto di mutuo e lavori per sistemarla. Finché lui prese coraggio e durante una pausa pranzo le disse che non voleva sposarsi. Fine del copione classico. C’è poi la seconda parte dell’articolo in cui lei rimane single per cinque anni, incontra l’uomo della sua vita, lo sposa e hanno due figli etc. Il copione riprende, ma con un co-protagonista diverso. Pause and Play.

Ma è la prima parte che mi ha colpito: questa notte, in sogno, prima di avere letto l’articolo, mi è comparsa una mia compagna di classe delle superiori. Una di quelle compagne “medie”: sportiva, ma non fanatica né dotata, carina, ma non bella, simpatica, ma non popolare a scuola, follower, mai leader, di famiglia bene, ma non borghese. Nel sogno mi diceva, in lacrime, che non sapeva come sfuggire al copione ormai scritto con Michele. Michele era il suo fidanzato storico dall’adolescenza.

A 13 anni si erano conosciuti – i genitori erano amici, abitavano in quartieri vicini e andavano nella stessa scuola media – a 14 si erano fidanzati. Lui faceva tutto quello che un buon fidanzato doveva fare: regalare i fiori a San Valentino, andare a prenderla all’uscita dell’allenamento di pallavolo, portarla fuori il sabato sera in gruppo e dedicarle qualche uscita romantica (compatibilmente con l’età e il portafoglio). Le aveva ovviamente regalato l’anellino si fidanzamento, braccialetti e catenine varie in occasione di tutte le ricorrenze; rigorosamente Pandora o altre marche fighette, come gli richiedeva il suo ruolo di fidanzato di una liceale “bene”. Lui andava a casa di lei e lei a casa di lui. Classe medio-borghese entrambi, genitori contenti che il/la loro figlio/a avesse un fidanzato/a con la testa sulle spalle e niente sorprese in vista. Andavano persino in vacanza insieme in gruppo, la massima convalidazione sociale della coppia adolescenziale.

Ce ne erano meno di una decina di storie così nel mio liceo, su circa quattrocento alunni. Io, reietta e ciofeca, invidiavo segretamente la pace mentale e sociale di queste mie compagne “spose adolescenti” che mi sembravano avessero saltato a piè pari i patemi adolescenziali e fossero approdate direttamente nell’età adulta, questo ai miei occhi: gli occhi di chi il suo posto nella vita non lo aveva ancora trovato. Erano i Promessi sposi del ’98.

Arrivati ai 18-19 anni, alla Maturità, la loro relazione aveva già esaurito il suo corso: niente sorprese, niente emozioni, niente novità. I capitoli successivi della loro vita erano già scritti: la laurea, la prima casa, il matrimonio, il primo figlio.

Io andai a studiare altrove e persi di vista tutti. Qualche anno dopo seppi che la storia predestinata con Michele non aveva resistito neanche un anno fuori dalla bolla del liceo. Lei peregrinò in varie università e non è chiaro cosa studiò né se termino gli studi; lui si iscrisse al primo anno di Ingegneria a Torino ma forse si perse per strada poco dopo. Di lei so solo che ora il lavoro è la sua famiglia, fidanzato e figlio tutt’uno. Non si sa dove, non si sa cosa. Ha spiegato le vele ed è fuggita dal copione!

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