Memento mori

Ricordo la prima volta che ho realizzato che prima o poi sarei morta anche io. Certo, a un livello razionale sapevo benissimo di non essere immortale, ma quando siamo piccoli (di solito, se siamo fortunati), la morte non ci tocca mai da vicino. Riguarda in genere parenti lontani di cui conosciamo a malapena il nome o una vicina molto anziana e malata da anni. Non prestiamo attenzione alle età di chi muore, sono sempre numeri così alti, così lontani, così distanti.

Credo il pensiero della mia morte mi abbia sfiorato per la prima volta a 14 anni, quando è morto un ragazzino di appena un anno più grande di me per un tumore al cervello. Lo conoscevo (nei paesi ci si conosce tutti) e mi ricordo che aveva una moto fighissima. Non sapevo che fosse malato perché non lo vedevamo molto in giro e ignoravamo che fosse per via della malattia. Si chiamava Andrea.

Poi un giorno è arrivata la notizia che Andrea era morto, tutti all’improvviso sapevano anche il perché. È stato lì che, probabilmente, ho capitato che di morire poteva capitare anche a me e che non muoiono solo i vecchi.

Ma le notizie passano, altre preoccupazioni piccole riempiono la nostra quotidianità e i grandi interrogativi li lasciamo volentieri in secondo piano: tanto non riusciremmo a dargli risposta. Non ci sono riusciti fior fior di filosofi e pensatori, vorrete mica che ci riusciamo noi!


Circa una decina di anni dopo, un giorno ho avuto un flash di paura: ho capito per la prima volta che sarei morta anche io. Non in quel momento, ma sarebbe successo. E magari pure all’improvviso, senza preavviso, e ho trovato ironico come la nascita venga preannunciata da 9 mesi di gestazione mentre la morte richieda solo una manciata di secondo per porre fine alla nostra esistenza.

Il giorno di quel flash non era successo niente di particolare, è stato semplicemente il giorno in cui ho preso coscienza e ho vissuto la paura della morte. Di solito, la razionalizzo. Tutti moriamo. Mai ho tratto conforto dal pensiero di un potenziale aldilà (sono come San Tommaso, non ci credo finché non ci metto il naso). Non so perché mi sia toccato quel flash, ma è stato terrorizzante.


Negli anni ha cominciato a morire gente che non era poi così distante: un nonno, l’altro nonno, una nonna e l’altra nonna. Ma anche un nonno che muore è, nel mio caso, un fatto distante poiché se ne sono occupati i figli. E comunque, i nonni sono vecchi, per cui è da aspettarsi che muoiano, prima o poi.

Poi si è tolto la vita un amico: si è impiccato. E il marito di una mia collega, che s’è bevuto del diserbante. Chissà quanti ci hanno provato e non ci sono riusciti (almeno per un fatto statistico, devono esserci pure loro).

Nella schiera dei lutti si sono aggiunti anche quelli per animali di famiglia. Più crescevo più ne soffrivo, vuoi perché li ricordavo meglio o ci interagivo di più.

Tutto ha una fine – è una cosa della natura – lo tengo sempre a mente e lo considero alla stregua di una nozione scientifica: checcevoffa’. Ammetto anche che se non esistesse la morte, il mondo sarebbe un posto palloso: sempre la stessa gente.

A un livello superficiale non si vede, non ne parlo di queste riflessioni correnti sulla morte. Ma dentro di me mi capita spesso di trovarmi a pensare a come finirà la vita di questa o quella persona, la mia o quella dei miei cari. Non mi domando cosa potrei o non potrei fare perché davvero davanti alla morte siamo impotenti. Magari, un dio benevolo regalerà una chance. Ma è solo questione di tempo: prima o poi la morte sopraggiunge per tutti.

Allora penso ai kamikaze e percepisco una distanza enorme, incolmabile, tra il pensiero di quelle persone che vanno volontariamente incontro alla morte e il mio. Penso che chi li convince ad andare a farsi scoppiare ammazzando sconosciuti debba essere un abile manipolatore, oppure che chi si lascia manipolare così facilmente non rappresenta un grande progresso dell’umanità e mi sfiducio nel genere umano. Prendo per un attimo coscienza dei milioni di anni di evoluzione di cui si legge nei libri di scienze e mi rendo conto che non riuscirò mai a vedere quale sarà la prossima tappa: ci vuole troppo tempo. Mi rassegnerò a leggere di kamikaze fino a quando non schiatterò io.


Riguardo ai miei cari, ricordo che il mio gatto aveva quasi due anni quando ho realizzato che sarebbe morto prima di me (in teoria…). Ho pensato a quanto bene gli voglio e cerco ogni giorno di ricordarmene e di sfruttarlo al massimo. Lo stesso dicasi per mio marito e i miei genitori.

Durante l’ultimo viaggio in Italia ho visto molta gente e fatto cose che non ho mai fatto nei 30 anni in cui ho vissuto lì. Tutti che vogliono vederti, incontrarti, parlarti. Ma anche tutti che mi dicono “a me sembra ieri che ci siamo visti, non ti sento partita e distante”. Sarà Facebook o forse è passato poco tempo. O forse ognuno di noi esiste nella vita degli altri solo in quei 30 minuti seduti insieme al bar.

Mentre l’aereo rullava sulla pista di Malpensa, ho pensato alla mia famiglia, ai miei amici e alle persone che mi hanno salutato durante la mia vacanza. Statisticamente neanche tutte verrebbero al mio funerale, ma qualcuno ci sarebbe. Ne sono rimasta confortata e ho deciso di approfittarne e di godere degli amici e della famiglia mentre sono in vita, che tanto ai funerali non si diverte nessuno.

11 pensieri su “Memento mori

  1. Quando avevo 15 anni è morto in un incidente stradale un ragazzo di tre anni più grande e il prof di religione ci portò a casa sua a vederlo, disteso nella bara, con la faccia enorme (era in moto e ha preso in pieno un autobus frontalmente) ma neppure in quella occasione ho pensato che sarei morto.Io tanto mica andavo in moto.

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    1. Antonio, il tuo ottimismo è superlativo! Il professore è stato un po’ macabro ma riesco a intravedere il fine educativo (la morte non guarda in faccia a nessuno, l’autobus sì). Quelli della mia generazione andavano su rotten.com

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